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IL DALAI LAMA IN ITALIA

di Carlo Buldrini*

“I miei colleghi e io personalmente le porgiamo il benvenuto e le più vive felicitazioni per il suo incolume arrivo in India. Siamo lieti di offrirle tutta l’assistenza necessaria per la sua permanenza in questo paese”. Il telegramma era firmato “Jawaharlal Nehru, primo ministro dell’Unione Indiana”. Un funzionario del governo consegnò il messaggio al giovane Dalai Lama a Tawang, un piccolo centro della North-East Frontier Agency indiana. Era il 3 aprile 1959. Tre giorni prima, in groppa a uno “dzo”, l’animale che nasce dall’incrocio tra una vacca e uno yak tibetano, il ventiquattrenne Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama del Tibet, aveva attraversato visibilmente malato il confine che separa il Tibet dall’India. 

Il 17 ottobre di quest’anno, quello stesso Dalai Lama, oggi settantaduenne, nella rotonda del Campidoglio di Washington D.C., ha ricevuto dalle mani del presidente americano George W. Bush la Medaglia d’oro del Congresso americano, la più alta onorificenza civile concessa dagli Stati Uniti. Consegnando la medaglia, il presidente Bush ha detto: “Onoriamo nel Dalai Lama un simbolo universale di tolleranza e di pace. Si tratta di una guida spirituale, per i suoi fedeli; di una persona che tiene viva la speranza, per un intero popolo”. Sul retro della medaglia era incisa una frase dello stesso Dalai Lama: “La pace è la manifestazione della compassione umana”. Prima di incontrare il presidente americano alla Casa Bianca, il Dalai Lama è stato ricevuto dall’allora primo ministro australiano John Howard e dal cancelliere tedesco Angela Merkel. Subito dopo la tappa negli Stati Uniti, è stato il primo ministro canadese Stephen Harper a incontrare ufficialmente il leader spirituale del popolo tibetano.

Quando il 7 ottobre 1950 quarantamila uomini dell’Esercito popolare di liberazione di Mao Zedong iniziarono l’occupazione militare del paese, il Tibet era una nazione libera e indipendente. A stabilirlo fu la stessa Commissione internazionale dei Giuristi che, riunita a Ginevra nel 1960, affermò che “dal 1913 al 1950 il Tibet aveva tutte le caratteristiche di una nazione indipendente, così come stabilito dalle leggi internazionali”. E, nel 1961, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione numero 1723 con cui si riconosceva al Tibet il “diritto all’autodeterminazione”.

La colonizzazione del Tibet da parte della Repubblica popolare cinese è avvenuta in tre fasi. Al periodo della “collettivizzazione”, iniziato subito dopo l’occupazione militare del 1950, fece seguito quello della Rivoluzione culturale (1966-76). Durante queste prime due fasi, come diretta conseguenza dell’occupazione cinese, in Tibet morirono 1.200.000 persone su una popolazione di sei milioni di abitanti. Nel 1979, con la “liberalizzazione” di Deng Xiaoping, è iniziato il terzo atto della colonizzazione del paese. Una fase che dura tuttora e che il Dalai Lama ha definito di “aggressione demografica”. L’idea risaliva a Mao Zedong. Il Grande Timoniere, nel “Renmin Ribao” del 22 novembre 1952, scriveva: “Il Tibet copre una vasta superficie ma è scarsamente popolato. Bisogna aumentare di almeno cinque volte la sua popolazione”. Nel 1960 gli faceva eco Zhou Enlai: “I cinesi sono in gran numero e sono più progrediti economicamente e culturalmente. Tuttavia, nelle regioni che essi abitano, il terreno coltivabile e le risorse del sottosuolo non sono così abbondanti come nelle zone abitate dalla fraterna nazionalità tibetana”.

A partire dagli anni Ottanta è iniziato un massiccio trasferimento della popolazione cinese in Tibet. Con l’apertura, il primo luglio 2006, della ferrovia Golmud-Lhasa questa “aggressione demografica” ha subito una forte accelerazione. La conseguenza è stata che oggi, a Lhasa, la popolazione cinese è più del doppio di quella tibetana. Nella capitale del Tibet, nelle scuole medie, non si insegna più la lingua tibetana. Nelle campagne, alle donne tibetane, e in particolar modo a quelle appartenenti alle popolazioni nomadi, viene imposto un rigido controllo delle nascite. Molte sono costrette ad abortire. Anche le giovanissime vengono sottoposte a sterilizzazioni forzate.

 

*NOTE

CARLO BULDRINI ha vissuto in India più di trent’anni. Ha scritto per varie testate italiane e indiane ed è stato addetto reggente dell’Istituto Italiano di Cultura di New Delhi. Nell’anno accademico 2001-2002 ha insegnato presso la Jamia Millia Islamia, l’università islamica di Delhi. È autore di In India e dintorni (1999) e, con le Edizioni Lindau, ha pubblicato Lontano dal Tibet. Storie da una nazione in esilio (2006).


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