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ARL news : Stralci da "La lobby di Dio" - VI° parte
Inviato da lucap il 21/7/2011 7:00:00 (2262 letture) News dello stesso autore

Nelle prossime settimane pubblicheremo sei stralci da "La lobby di Dio", libro di Ferruccio Pinotti (ed. Chiarelettere) al quale hanno collaborato Valerio Federico, membro del comitato nazionale di Radicali Italiani, e Luca Perego, segretario dell'Associazione Radicali Lecco.



Il libro si chiama “La Lobby di Dio”, è la “prima inchiesta su Comunione e Liberazione e la Compagnia delle Opere” (Chiarelettere, pagg.464, 16,60 euro) ; lo ha scritto Ferruccio Pinotti, che in passato ci ha regalato altri preziosi volumi: “Poteri forti”, sul caso dell’omicidio del banchiere Roberto Calvi; “Opus Dei segreta”, che per la prima volta riporta testimonianze di ex numerari dell’Opus Dei; “Fratelli d’Italia”, un’inchiesta sulla massoneria; “L’unto del signore”, in collaborazione con Udo Gumpel, sulle origini della fortuna di Berlusconi e gli appoggi in Vaticano.
Comunione e Liberazione viene così presentata: “Più potente dell’Opus Dei, più efficiente della massoneria. Questo libro racconta per la prima volta dall’interno come funzionano Comunione e Liberazione e il suo braccio finanziario, la Compagnia delle Opere, una rete di più di 34mila imprese, un fatturato complessivo di almeno 70 miliardi di euro. Potere che sembra inarrestabile, spesso oscuro, e con il quale occorre fare i conti e avere consapevolezza.
Il libro di Pinotti si è avvalso della collaborazione di molte persone tra cui quello di due nostri compagni, Valerio Federico, consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni e componente del Comitato di Radicali Italiani, e di Luca Perego, autori della rubrica “Giù al Nord”, di “Radio Radicale”. Un contributo di “alto spessore”, lo definisce Pinotti, relativo all’analisi teorica del “sistema CL-CDO” della sussidiarietà formigoniana nonché al tema dei diritti civili negati dal sistema stesso e all’approfondimento di alcuni casi specifici.
E leggendo i saggi che seguono, si comprenderà bene il contributo che Federico e Perego hanno fornito all’importante inchiesta di Pinotti. Qui potete leggere il 6° ed ultimo stralcio.

I membri di CL, gli ≪Amici del movimento≫, stringono tra loro un patto di amicizia sulla base delle convinzioni etico-religiose e di un sistema valoriale comune. CL ≪segue≫ ogni suo membro dalla scuola all’università e poi nel mondo del lavoro e in alcuni casi lo porta per mano fin dentro le istituzioni. La coesione interna al movimento e fortissima. Agli amici del gruppo vengono chieste due qualità: sequela e fiducia. I membri di CL seguono le indicazioni del leader, di colui che tra loro ha carisma e autorevolezza tali da saper leggere e interpretare le parole di don Giussani. Le indicazioni della cosiddetta ≪autorità≫ vengono difficilmente messe in discussione. Oltre a una naturale predisposizione all’obbedienza dei suoi aderenti, Comunione e Liberazione conferisce una forte valenza simbolica al nemico, che spesso finisce per coincidere con l’intero mondo esterno, intriso di individualismo, secolarismo e relativismo.

 

Il “modello Lombardia”

In Lombardia l’amministrazione regionale guidata da Formigoni ha predisposto diverse forme di sostegno alle scuole private, di cui beneficiano ampiamente gli istituti legati alla galassia CdO, particolarmente numerosi.

Per il triennio 2007-2009 la Regione ha stanziato una quota chiamata ≪programmazione negoziata≫ per finanziare soggetti scolastici pubblici e privati. Una decisione maturata nell’aprile 2006 grazie a una delibera del consiglio regionale. Ma, come da buona consuetudine in Lombardia, le scelte avvengono spesso per accontentare qualche amico del movimento. Infatti la delibera, che autorizza trattative trilaterali tra Regione, enti pubblici locali e soggetti privati in materia di edilizia scolastica, ha portato alla costruzione nel 2008 di una scuola a Crema: si tratta di un istituto fortemente voluto da un gruppo di persone vicine a CL e gestito da una fondazione, la Charis, legata alla Compagnia delle Opere.

Tutto ha inizio il 26 marzo 2008, quando Bruno Bruttomesso, sindaco di Crema legato al Pdl, invia alla Regione un fax proponendo un intervento per due strutture scolastiche, entrambe private: una nuova scuola e una richiesta di ristrutturazione della scuola d’infanzia Paola di Rosa. La risposta non tarda: due soli giorni dopo Regione Lombardia, Comune di Crema e Charis stipulano un’intesa grazie alla quale quest’ultima dovrebbe ricevere dalla Regione 4,5 milioni di euro in tre anni per costruire il nuovo istituto, comprensivo di scuola elementare, media, superiore e centro sportivo. Un bel gruzzoletto, se pensiamo che il finanziamento regionale copre più di un terzo del costo totale (14 milioni di euro) della struttura.

Meno di due settimane piu tardi, il 9 aprile 2008, la giunta Formigoni approva la delibera n. 7030, relativa agli stanziamenti nell’edilizia scolastica che la Regione avrebbe erogato nel corso dell’anno, contenente anche la prima tranche, un milione di euro, da destinare alla Charis. Con questa scelta la Regione Lombardia non si è limitata a ristrutturare alcune parti di un edificio già esistente, ma e intervenuta direttamente nella costruzione ex novo di una struttura privata. Soprattutto dopo l’approvazione della legge regionale n. 19 del 2007 intitolata ≪Norme sul sistema educativo di formazione e istruzione della Regione Lombardia≫, la Regione ha ulteriormente sovvenzionato le strutture private, in maniera totalmente sproporzionata rispetto a quelle pubbliche. Nel 2008, per esempio, per le scuole pubbliche di tutta la provincia di Crema, la Regione ha stanziato 400.000 euro, per le private un milione di euro e 150.000 euro per l’istituto ≪Paola di Rosa≫. Anche in ambito scolastico il presidente Formigoni applica la politica dell’inclusione/esclusione, grazie alla quale gli amici del movimento vengono aiutati con i soldi dei cittadini, mentre a tutti gli altri non resta che arrangiarsi.

“Contraccezione e aborto: diritti in pericolo”

L’impatto sulle politiche socio-sanitarie prodotto dal trinomio confessionalismo-politica-affari che Roberto Formigoni e CL hanno introdotto in Lombardia va ad invadere anche la delicata sfera dei diritti individuali. L’occupazione da parte di CL di ampi settori della sanità lombarda finisce per rendere difficile l’accesso a prestazioni che dovrebbero essere garantite a chiunque, come la possibilità di ricorrere alla pillola contraccettiva oppure, dal 2010, la somministrazione della Ru486 (l’interruzione di gravidanza farmacologica). In merito alla contraccezione d’emergenza, detta anche “pillola del giorno dopo”, sono diverse le testimonianze raccolte dalla Cellula Coscioni di Milano da parte di donne che si sono viste rifiutare la prescrizione in diversi ospedali lombardi; per quanto riguarda la Ru486, in Lombardia – come nel resto d’Italia – pochissimi ospedali, sei mesi dopo la commercializzazione, ne hanno fatto richiesta. Gia tre anni prima che la Ru486 venisse distribuita in Italia, in 17 diverse strutture ospedaliere i medici si erano dichiarati (in un’indagine condotta dall’Associazione Enzo Tortora Radicali Milano) a vario titolo interessati all’aborto farmacologico e all’utilizzo della Ru486, ma il clima di ossequio ai vertici della Regione Lombardia, dovuto probabilmente al timore di ritorsioni a danno della propria carriera professionale, ha determinato in molti casi l’abbandono preventivo della “battaglia”. In altri casi i medici hanno scelto di parlarne prima con la direzione dell’ospedale, ricevendone quasi sempre veti più o meno categorici.

In materia di interruzione di gravidanza, la Regione di Formigoni ha emanato un “atto di indirizzo” in palese contrasto con la legge nazionale, tanto da essere annullato in seguito dal Consiglio di Stato. La legge 194, infatti, non prevede limiti all’aborto terapeutico, nel caso in cui la gravidanza o il parto possano comportare “gravi rischi per la salute della donna” o quando esistano “processi patologici” che possano metterne in pericolo la salute fisica o psichica. Se il ministero, nelle linee guida emanate, parla di 22 settimane più sei giorni, la Regione Lombardia risponde con propagandistiche indicazioni di 22 settimane più tre giorni, dopo i quali l’aborto non può essere praticato. In sostanza, con questo provvedimento la Regione ha tentato di invadere un settore in cui soltanto il Parlamento e legittimato a intervenire. Ma negli ospedali lombardi e difficile abortire anche per la massiccia presenza di medici obiettori. Dall’ottobre 2005 al giugno 2006 l’Associazione Enzo Tortora Radicali Milano, nella sua indagine, ha contattato tutti gli ospedali lombardi dotati di un reparto di ginecologia, al fine di monitorare l’applicazione della 194 e confrontarsi con i medici. “Ne è emerso un quadro desolante: i ginecologi che scelgono di non fare l’obiezione di coscienza in Lombardia sono risultati ovunque in minoranza. In alcuni casi e presente un solo medico non obiettore, che garantisce da solo il servizio di Ivg [interruzione volontaria di gravidanza, nda] per l’intero reparto, arrivando talvolta ad effettuare annualmente duecento aborti e oltre. Questo grande carico di responsabilità da vivere in sostanziale solitudine incide profondamente sulla qualità del lavoro e della vita dei medici non obiettori”. In media, in Lombardia l’80 per cento dei ginecologi opta per l’obiezione. In alcuni ospedali “le direzioni ospedaliere scelgono di non effettuare il servizio di Ivg (secondo la legge possono farlo, a patto che qualche ospedale sufficientemente vicino lo effettui), oppure di pagare un medico non obiettore esterno all’ospedale (cosiddetto “gettonista”) affinche periodicamente vada a praticare le Ivg”.

Il messaggio antiabortista e rafforzato dagli attivisti del Movimento per la vita, direttamente presenti con le loro sedi in sei ospedali lombardi.58 Significativo in tal senso e un cartellone che campeggia di fronte all’ingresso dell’ospedale di Tradate, in provincia di Varese, raffigurante un feto di quindici settimane, che riporta la seguente frase: “Mamma, ti voglio bene, non uccidermi”.

La Regione e intervenuta anche sulla questione del trattamento dei feti abortiti, stabilendo che vengano cremati o tumulati. Nel febbraio 2007 i radicali Valerio Federico e Silvio Viale hanno presentato una denuncia, in quanto il regolamento regionale, come poi scritto dal pm Marco Ghezzi, che ha archiviato l’esposto, “si pone oggettivamente come ostacolo [...] all’interruzione volontaria della gravidanza, posto che, prevedendone la sepoltura tende ad assimilare il prodotto del concepimento a un individuo”. La legge nazionale prevede infatti che solo i feti abortiti dopo le venti settimane possano essere inviati al cimitero. Anche in questo caso la Lombardia ha fatto da apripista ad altre città, come Roma. Il 16 marzo 2009 il consiglio del XX Municipio (Tor di Quinto) ha approvato, su ordine del giorno dell’esponente Pdl Marco Petrelli, la proposta di riservare nei cimiteri apposite aree per la sepoltura di embrioni e feti abortiti, definiti “bambini non nati”.

Il 1° maggio 2008 Formigoni dichiarava che in Lombardia non si sarebbero rispettate le linee guida della legge 40 sulla procreazione assistita, che tra l’altro tornavano a rendere possibile la diagnosi genetica pre-impianto. Il rifiuto di applicare il decreto era motivato da “una questione di rispetto della vita”, oltre che della “volontà popolare”: la bassa affluenza alle urne al referendum del 2005 portava Formigoni a concludere che “almeno il 75 per cento degli italiani non vuole modificare le norme sulla fecondazione assistita”.

Anche il dibattito e le scelte su un tema come il fine vita e influenzato dagli orientamenti ideologico-confessionali della Regione guidata da Formigoni. Il caso che ha diviso l’opinione pubblica e stato quello di Eluana Englaro, in stato vegetativo da diciassette anni nella casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco. Anche se nel luglio 2008 il padre di Eluana aveva ottenuto dalla Corte di cassazione una sentenza che consentiva di fatto l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione, il governatore lombardo dichiarava pubblicamente che le strutture della Lombardia non si sarebbero rese disponibili a togliere il sondino dell’alimentazione a Eluana, intimando in sostanza ai medici di non dare esecuzione alla sentenza. Il 3 settembre 2008 il direttore generale della Sanita della Regione Lombardia, Carlo Lucchina, scrisse a Beppino Englaro: “Il personale sanitario non può sospendere l’idratazione e l’alimentazione artificiale del paziente: verrebbe meno ai suoi obblighi professionali e di servizio”. Englaro fece ricorso al Tar, che il 26 gennaio gli diede di nuovo ragione. Il legale della famiglia, Vittorio Angiolini, chiese alla Regione di indicare “una struttura sanitaria idonea dove eseguire il decreto che dispone l’interruzione dell’idratazione e alimentazione forzata”. Formigoni rispose: “Non sono alla merce di nessun tribunale. La legge attribuisce alle Regioni, tramite il servizio sanitario, il compito di assistere e curare le persone con lo scopo di guarirle. Non posso accettare che la magistratura ci attribuisca un altro compito, quello di togliere la vita”.

Il 16 dicembre 2008, un mese prima che il Tar si esprimesse, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi aveva pero emanato un atto di indirizzo in materia di “Stati vegetativi, nutrizione e idratazione”, volto ad impedire che nelle strutture sanitarie pubbliche e private si desse corso alla sospensione di nutrizione e idratazione artificiali, stigmatizzata come una forma di “abbandono del malato”. Nella sostanza il ministro Sacconi con una circolare ministeriale impediva che una sentenza avesse il suo corso.

Il 3 febbraio 2009 un’ambulanza ha prelevato Eluana Englaro per portarla alla residenza sanitaria La Quiete di Udine che si era dichiarata disponibile ad attuare la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione forzata. Al gruppo di aderenti del Centro di aiuto alla vita di Lecco che si erano radunati davanti alla casa di cura con striscioni contro l’eutanasia si univa l’assessore regionale alla Famiglia e solidarietà sociale, Giulio Boscagli.

In conclusione, se le altre regioni si fossero comportate come la Regione Lombardia, il padre di Eluana non avrebbe potuto ottenere l’esecuzione della sentenza.

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